Il contratto di rete....

Autore: dott. Luigi Scappini

Il comparto agricolo, se da un lato fruisce di un sostanzioso sostegno, in primis da parte dell’Unione Europea che, in sede di programmazione della Pac per il periodo 2014-2020 ha riservato all’Italia ben 52 miliardi di euro, dall’altro è sempre stato accusato di godere di un regime fiscale di favore, soprattutto per quanto attiene l’imposizione diretta ove è prevista una tassazione del reddito prodotto su base catastale.

Proprio in tema di fiscalità diretta, lo stesso Legislatore è consapevole di questo regime di favore se è vero che, da un lato ne prevede l’applicazione naturale per le sole forme imprenditoriali individuali, le società semplici e gli enti non commerciali, e dall’altro ne limita l’estendibilità alle sole società agricole ex articolo 2 D.Lgs. n. 99/2004 con l’esclusione delle Spa e delle Sapa.

L’Agenzia delle Entrate, conscia dell’indubbio vantaggio di tale regime impositivo, ha posto l’attenzione sulla corretta applicazione dell’articolo 32 Tuir e delle sue regole, tant’è vero che, in via ufficiale, con la Circolare n. 25/E del 6 agosto 2014, ufficializzando l’indirizzo che gli uffici sono tenuti a seguire nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale in merito al periodo di imposta 2014 ha affermato che, per quanto attiene il comparto agricolo l’azione di controllo sarà focalizzata “tenendo conto prioritariamente delle imprese che svolgono le c.d. “attività connesse (manipolazione, commercializzazione e trasformazione) aventi ad oggetto prodotti agricoli acquisiti prevalentemente da terzi.”, nonché le attività agrituristiche che troppo spesso nascondono vere e proprie attività di ristorazione.

Ma a cosa si riferisce l’Agenzia delle Entrate?

Facciamo un passo indietro: ai sensi dell’articolo 32, comma 2, lettera c) Tuir si considerano attività agricole connesse le attività di cui all’articolo 2135, comma 3 codice civile dirette rispettivamente  alla  manipolazione,  conservazione,  trasformazione, commercializzazione e valorizzazione,  a prescindere dal loro effettivo esercizio sul terreno, di prodotti che vengono ottenuti prevalentemente dalle attività agricole per eccellenza e quindi dalla coltivazione del fondo, dalla silvicoltura e dell’allevamento degli animali.

Bypassando e rimandando a prossimi interventi l’analisi e l’approfondimento di quando un’attività che di per sé è commerciale ma che per fictio iuris viene considerata agricola e in quanto tale tassabile secondo le regole previste all’articolo 32 Tuir, in questa sede si intende focalizzare l’attenzione esclusivamente sul requisito della prevalenza dei prodotti.

Le attività, affinché possano considerarsi connesse a quelle agricole principali o ordinarie, devono, da un lato avere  a oggetto prodotti ricompresi tra quelli previsti in un decreto ministeriale di emanzione  biennale (da ultimo vedasi il D.M. 13 febbraio 2015) e dall’altro rispettare il requisito della prevalenza.

Le modalità di determinazione e verifica della prevalenza, nel contesto produttivo dell’imprenditore agricolo, di prodotti propri rispetto a quelli reperiti presso soggetti terzi varia in funzione delle scopo posto a base dell’approvvigionamento presso terzi.
Prendendo a riferimento un imprenditore vitivinicolo, si potrà, ad esempio, avere un miglioramento:
  • qualitativo quando l’aquisto ha a oggetto uva da taglio;
  • quantitativo se l’uva acquistata serve a incrementare la propria produzione complessiva e
  • di gamma se l’uva acquistata è destinata alla produzione di ulteriori tipologie di vini.
Ecco che allora in caso di miglioramento quantitativo e qualitativo il  confronto potrà avvenire in termini quantitativi fra i prodotti ottenuti dall’attività agricola svolta e i prodotti acquistati presso terzi.

Al contrario, in ipotesi di ampliamneto della gamma di prodotti offerti il confronto dovrà effettuarsi in termini di valore normale dei beni stessi, intendendo per valore normale quello definito dal legislatore tributario all’articolo 9, comma 3 Tuir.

In tale contesto si innesta quanto previsto dal Legislatore con l’articolo  1-bis, comma 3 del D.L. n. 91/2014 ai sensi del quale “Per le pmi, nei contratti di rete formati da imprese agricole singole ed associate, la produzione agricola derivante dall'esercizio in comune delle attività, secondo il programma comune di rete, può essere divisa fra i contraenti in natura con l'attribuzione a ciascuno, a titolo originario, della quota di prodotto convenuta nel contratto di rete”, un’opportunità concessa per implementare e/o migliorare, nei limite della ragionevolezza, la propria produttività e incisività sul mercato, senza dover soggiacere alla scure della verifica della prevalenza.

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